La Riscossa di Isola delle Femmine

l'informazione è il sale della democrazia

ILLEGITTIMI GLI ATTI DELLA COMMISSIONE ELETTORALE COMUNALE DI ISOLA DELLE FEMMINE A RISCHIO L’ELEZIONE DEGLI SCRUTATORI?

 

Il vicepresidente del Consiglio Comunale di Isola delle Femmine Vincenzo Dionisi prende carta e penna e scrive all’Assessorato Regione Sicilia Ufficio Controllo Enti Locali,al Prefetto di Palermo alla Procura della Repubblica per denunciare l’ennesimo caso di “superficialità” di poco rispetto delle regole di trasparenza perpetrato dalla Giunta Portobello.

COMUNICATO
STAMPA
La Commissione Prefettizia, insediatasi lo scorso aprile presso il Comune di Isola delle Femmine, per accertare l’eventuale sussistenza di infiltrazioni mafiose in seno all’ente locale, sembra abbia riscontrato una serie di provvedimenti illegittimi adottati dall’Amministrazione Portobello, eppure Giunta e consiglieri continuano a produrre atti poco trasparenti.
Il 16 ottobre si è infatti tenuta una seduta della Commissione Elettorale Comunale per la selezione degli scrutatori, in vista delle Regionali del 28.10.2012: ebbene, nonostante le dimissioni di tutti i componenti del gruppo “Rinascita Isolana” – espressione della minoranza consiliare – rassegnate ormai da mesi; né il Responsabile del I Settore né il Presidente dell’assise civica hanno provveduto a sostituire i componenti dimissionari dell’indicata Commissione, che oggipertanto risulta illegittimamente costituita, nonché priva del prescritto quorum strutturale.
La seduta della Commissione Elettorale Comunale del 16 ottobre è stata illegittimamente presieduta da un Consigliere Comunale Signor Peloso Alberto
delegato del Sindaco in contrasto con quanto previsto dal DPR 223 20 marzo 1967 art 14 co.1 “ La commissione elettorale comunale è presieduta dal Sindaco. Qualora il sindaco sia assente o impedito ne fa le veci l’assessore delegato o l’assessore anziano
Sulla scorta delle circolari interpretative e della giurisprudenza più volte ribadita dall’Assessorato Regionale Enti Locali, non v’è dubbio che tutti gli atti approvati dalla Commissione Elettorale, a far data dalla mancata sostituzione dei rappresentanti della minoranza, siano contralegem e vadano revocati, ad iniziare dalla deliberazione di nomina degliscrutatori dei seggi elettorali, per la consultazione del 28 ottobre prossimo.
La delicatezza della materia – afferente l’esercizio del diritto di voto, costituzionalmente garantito – in un contesto di particolare tensione amministrativa e di emergenza-legalità, imporrebbe una diversa sensibilità istituzionale ed un più vigoroso rispetto della legge.
Nell’attesa delle determinazioni del Ministro dell’Interno, in ordine al paventato scioglimento dell’ente locale, speriamo almeno si provveda a ricomporre correttamente la Commissione Elettorale Comunale, perché ad Isola delle Femmine non si tinga di illegittimità anche la prossima ravvicinata tornata elettorale.
Isola delle Femmine, lì
17.10.2012
Vincenzo Dionisi
Vice Presidente del
Consiglio Comunale
di Isola delle Femmine
FUNZIONAMENTO DELLA COMMISSIONE
ELETTORALE
D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223
12. (Legge 7 ottobre 1947, n. 1058, art. 12, commi 1° e 2°, e legge 22 gennaio 1966, n. 1, art. 12, commi 1° e 2°). – Il Consiglio comunale, nella prima seduta, successiva alla elezione del sindaco e della Giunta municipale, elegge, nel proprio seno, la Commissione elettorale comunale. La Commissione rimane in carica fino allo insediamento di quella eletta dal nuovo Consiglio.
La Commissione è composta dal sindaco e da quattro componenti effettivi e quattro supplenti nei comuni al cui consiglio sono assegnati fino a 50 consiglieri, da otto componenti effettivi ed otto supplenti negli altri comuni.
14. (Legge 7 ottobre 1947, n. 1058, art 12, commi 9°, secondo periodo, 10°, 11° e 12°, e legge 22 gennaio 1966, n. 1, art. 12, commi 7°, 8°, 9° e 10°). – La Commissione elettorale comunale è presieduta dal sindaco. Qualora il sindaco sia assente, impedito o non in
carica, ne fa le veci l’assessore delegato o l’assessore anziano. Se il sindaco è sospeso dalle funzioni di ufficiale del Governo, la Commissione è presieduta dal commissario prefettizio incaricato di esercitare dette funzioni.
Le funzioni di segretario della Commissione sono esercitate dal segretario comunale, o da un funzionario da lui delegato.
Per la validità delle riunioni della Commissione è richiesto l’intervento della maggioranza dei componenti. In seconda convocazione le riunioni sono valide se il numero dei presenti non sia inferiore a tre se la Commissione è composta di sette membri ed a quattro se è composta di nove. Le decisioni sono adottate a maggioranza di voti; in caso di parità prevale il voto del presidente.
I membri supplenti prendono parte alle operazioni della Commissione soltanto in mancanza dei componenti effettivi e in corrispondenza delle votazioni con le quali gli uni e gli altri sono risultati eletti dal Consiglio comunale.
15. (Legge 7 ottobre 1947, n. 1058, art.12, ultimo comma e legge 22 gennaio 1966, n. 1, art. 12, commi 11°, 12°, 13° e 14°). – I membri della Commissione elettorale comunale che senza giustificato motivo non prendono parte a tre sedute consecutive sono dichiarati decaduti. La decadenza è pronunciata dal Consiglio comunale nella prima seduta successiva alla terza assenza e comunque non prima che sia decorso il termine di dieci giorni dalla notificazione giudiziale all’interessato della proposta di decadenza. Qualsiasi cittadino del Comune può promuovere la dichiarazione di decadenza.
Quando, per qualunque causa, i membri effettivi e supplenti della Commissione si siano ridotti in numero inferiore a quello richiesto per la validità delle riunioni, la Commissione decade ed il Consiglio comunale deve procedere alla sua rinnovazione con procedura d’urgenza in caso di necessità, e in ogni caso entro un mese dal verificarsi dell’ultima vacanza.
Finché a Commissione non sarà ricostituita, in caso di necessità le relative funzioni saranno svolte da un commissario prefettizio.
Nei Comuni retti da commissario, i componenti dell Commissione elettorale comunale restano in carica sotto la presidenza de commissario stesso; nel caso in cui non si raggiunga il minimo legale nella riunione di seconda convocazione provvede il commissario.

ATTO DI CITAZIONE RG 9916 2011 ANZA’ CONTRO CIAMPOLILLO ITALCEMENTI PIANO REGIONALE ARIA COPIATO atto citazione

ATTO DI CITAZIONE RG 9916 2011 ANZA’ CONTRO CIAMPOLILLO ITALCEMENTI PIANO REGIONALE ARIA COPIATO atto citazione

TRIBUTI ITALIA COSTITUZIONE PER INSOLVENZA TRIBUTI ITALIA AL COMUNE 239332,40 MANCATA RESTITUZ DIFIDE STRADALI 2002 2005 882841,56DELIBERA G.M. 114.10

 

 
 
Liquidazione del corrispettivo dovuto alla Servizi Comunali Integrati R.S.U. s.p.a. per la gestione integrata dei rifiuti nel mese di marzo 2011 – Acconto sull’importo per l’anno 2011.

Tipo di informazione: Atti Pubblici

Data: 10/05/2011


Ulteriore impegno di spesa e liquidazione del corrispettivo dovuto alla Servizi Comunali Integrati R.S.U. s.p.a. relativo all’accordo presso l’Assessorato dell’energia dicembre 2011

Tipo di informazione: Atti Pubblici

Data: 19/01/2012

PIANO DI GESTIONE DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI

ALLEGATI

 

 

SCHEMI ED ATTI COSTITUZIONE S.R.R. RIFIUTI REGIONE SICILIA LUGLIO 2012

SCHEMA DI DELIBERA – ATTO DI COSTITUZIONE SOCIETÀ CONSORTILE PER AZIONI, DENOMINATA SOCIETÀ PER LA REGOLAMENTAZIONE DEL SERVIZIO DI GESTIONE RIFIUTI A.T.O

Adobe Portable Document Format (PDF) SCHEMA DI DELIBERA (Dimensione documento: 112026 bytes)

SCHEMA DI DELIBERA – MODIFICA PER I COMUNI DELLE PROV. DI PALERMO CATANIA TRAPANI AGRIGENTO CALTANISSETTA E MESSINA , CHE HANNO GIà DELIBERATO IN CONSIGLIO LA COSTITUZIONE DELLA S.R.R. PRIMA DEL 06 Luglio 2012

Microsoft Word SCHEMA DI DELIBERA (Dimensione documento: 39424 bytes)

http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_LaStrutturaRegionale/PIR_AssEnergia/PIR_Dipartimentodellacquaedeirifiuti/PIR_FAQDAR/PIR_LRn9CostituzioneSocietaperazioniSRR/PIR_schemi_atti

SCIOGLIMENTO CONSIGLIO COMUNALE REGGIO CALABRIA RELAZIONE COMMISSIONE DI ACCESSO 12 10 2012

SCIOGLIMENTO CONSIGLIO COMUNALE REGGIO CALABRIA RELAZIONE COMMISSIONE DI ACCESSO 12 10 2012

 

Il governo scioglie per mafia il Comune di Reggio Calabria

09/10/2012 – IL CASO

Il governo scioglie per mafia

il Comune di Reggio Calabria

Il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri
La svolta del ministro Cancellieri:

“Decisione in difesa dei cittadini”.

È la prima volta che accade a causa di infiltrazioni per un capoluogo

ROMA
 
 
 
 
 
 
 
 

“Contiguità mafiose”, sciolto il Comune di Reggio Calabria

9 ottobre 2012
Il ministro Cancellieri annuncia lo scioglimento del consiglio comunale della città calabrese: “È la prima volta nella storia d’Italia per un capoluogo di provincia”. Poi precisa: “Non si tratta di infiltrazioni ma di rapporti sospetti”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
IComune di Reggio Calabria è stato sciolto dal consiglio dei ministri. Ad annunciarlo è stato il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Lo scioglimento è stato disposto per “contiguità e non per infiltrazioni” mafiose, ha precisato Cancellieri, e riguarda “solo questa amministrazione, non quella precedente”. “È stato un atto sofferto”, ha aggiunto, fatto “a favore della città”.

 

Il ministro ha sottolineato che è “la prima volta nella storia d’Italia che viene sciolto il consiglio comunale di un capoluogo di provincia”, ha parlato di un “atto preventivo” fatto per consentire a Reggio Calabria di “ritrovare la serenità” e “riprendere il suo cammino”, ha assicurato che il governo sarà accanto alla città soprattutto per risolvere la “gravissima situazione finanziaria”.

 

 

 

Alla base della decisione del ministro dell’Interno c’è il resoconto della Commissione d’accesso, nominata nel gennaio scorso dall’allora prefetto di Reggio Luigi Varratta. Il 13 luglio ha concluso i suoi lavori e nelle settimane successive è stata inviata al Viminale una relazione dal nuovo prefetto Luigi Piscitelli. La Commissione ha avuto mandato di “indagare” su due ambiti: le inchieste della Dda sulla società partecipata Multiservizi e su quella che ha portato all’arresto del consigliere comunale Giuseppe Plutino, per stabilire se potessero esserci stati condizionamenti nei confronti dell’attuale amministrazione guidata dal sindaco Demetrio Arena (Pdl), eletto nel maggio del 2011.


 



La Multiservizi, sciolta dal Comune nel luglio scorso dopo che la Prefettura ha negato la certificazione antimafia al socio privato per accertati tentativi di infiltrazioni delle cosche, è finita nell’occhio del ciclone dopo l’arresto, nel 2011, dell’allora direttore operativo Giuseppe Rechichi, accusato di associazione mafiosa e ritenuto il prestanome della potente cosca dei Tegano nella società. A Rechichi, condannato nel luglio scorso a 16 anni di reclusione, il 31 luglio è stata notificata un’altra ordinanza di custodia cautelare nell’ambito di un’operazione nel corso della quale è stato arrestato un ex consigliere comunale di centrodestra, Dominique Suraci.

 


Il consigliere Giuseppe Plutino (poi sospeso), prima esponente dell’Udc e poi del Pdl, in carica da tre legislature, è stato arrestato nel dicembre 2011 per concorso esterno in associazione mafiosa perché ritenuto un referente politico della cosca Caridi. Plutino avrebbe fornito alla cosca un “concreto, specifico, consapevole e volontario contributo come referente politico”.

 


Ma le vicende che hanno lambito il Comune di Reggio Calabria sono state diverse. Per sapere quali siano state prese in considerazione dal titolare del Viminale per proporre lo scioglimento dell’Ente, con “consenso unanime in Cdm”, bisognerà attendere le motivazioni del provvedimento. Il ministro, per adesso, ha parlato di diversi episodi che “toccano gli amministratori o atti che non sono stati posti in essere, come i controlli preventivi per gli appalti, la gestione dei beni confiscati alla mafia, la gestione dei mercati e delle case popolari”.

 


 

 

Reggio Calabria sarà amministrata per i prossimi 18 mesi da tre commissari: il prefetto di Crotone Vincenzo Panico – “un prefetto giovane, capace di incidere fortemente e lavorare con serenità”, ha detto Cancellieri –, il viceprefetto Giuseppe Castaldo e Dante Piazza, dirigente dei servizi ispettivi di finanza della Ragioneria dello Stato. Il primo impegno dei commissari sarà quello di lavorare per evitare che venga dichiarato il dissesto. Secondo gli ispettori del ministero delle Finanze, il buco del Comune si aggirerebbe sui 160 milioni di euro.
 
 
 
 
Il Consiglio comunale di Reggio Calabria è stato sciolto. 
 
Dopo settimane di attesa, vissute in città con un crescendo di tensioni, scontri verbali e polemiche, il Consiglio dei ministri ha esaminato oggi la pratica preparata dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri optando per lo scioglimento. 
È stato lo stesso Ministro a presentarsi ai giornalisti per comunicarlo. Una scelta «sofferta» presa «a favore della città» e come «atto di rispetto per la città» ha detto, sottolineando che «è la prima volta nella storia che viene sciolto il consiglio comunale di un capoluogo di provincia». Un provvedimento preso per «contiguità e non per infiltrazioni» mafiose e che, ha precisato Cancellieri, riguarda «solo questa amministrazione», guidata da Demetrio Arena, «non quella precedente», che era guidata dall’attuale presidente della Regione Giuseppe Scopelliti. 
«Siamo assolutamente consapevoli» della scelta fatta, ha proseguito il ministro, evidenziato che è stata «valutata con molta sofferenza». Ma, ha aggiunto, «abbiamo la volontà di restituire il paese alla legalità: senza legalità non c’è sviluppo. Dobbiamo aiutare le regioni più compromesse». Nelle parole del Ministro ha trovato posto anche la situazione di bilancio caratterizzato da «una gravissima situazione finanziaria» e con «un buco notevole» che, secondo gli ispettori del ministero delle Finanze si aggira sui 160 milioni. Al riguardo Cancellieri ha garantito l’impegno del governo a «essere accanto al Comune per risolvere i suoi problemi» e di dare «tutti gli strumenti necessari per far risorgere questa città». Ma ha anche auspicato di non dover arrivare a dichiarare il dissesto, perché «ciò comporterebbe sacrifici molto grossi da parte della popolazione». 
Il Comune, adesso, sarà retto per i prossimi 18 mesi da tre commissari: il prefetto di Crotone Vincenzo Panico; il viceprefetto Giuseppe Castaldo e il dirigente dei servizi ispettivi di finanza della Ragioneria dello Stato Dante Piazza. 
All’origine della decisione del Cdm c’è la relazione redatta dalla Commissione d’accesso nominata il 20 gennaio scorso dall’allora prefetto di Reggio Luigi Varratta e insediata il 24 gennaio. Commissione che ha concluso i suoi lavori il 13 luglio con una relazione al nuovo prefetto Luigi Piscitelli che a fine mese l’ha trasmessa al Viminale con le sue annotazioni. La Commissione ha avuto mandato ad «indagare» su due ambiti: la Multiservizi e l’arresto del consigliere Giuseppe Plutino per stabilire se potessero esserci stati condizionamenti dell’attuale amministrazione guidata da Demetrio Arena, eletto nel maggio del 2011. 
La Multiservizi, sciolta dal Comune nel luglio scorso dopo che la Prefettura ha negato la certificazione antimafia al socio privato per accertati tentativi di infiltrazioni delle cosche, è finita nell’occhio del ciclone dopo l’arresto, nel 2011, dell’allora direttore operativo Giuseppe Rechichi, accusato di associazione mafiosa e ritenuto il prestanome della potente cosca dei Tegano nella società. A Rechichi, condannato nel luglio scorso a 16 anni di reclusione, il 31 luglio è stata notificata un’altra ordinanza di custodia cautelare nell’ambito di un’operazione nel corso della quale è stato arrestato un ex consigliere comunale di centrodestra, Dominique Suraci. 
Il consigliere Giuseppe Plutino (poi sospeso), prima esponente dell’Udc e poi del Pdl, in carica da tre legislature, è stato arrestato nel dicembre 2011 per concorso esterno in associazione mafiosa perché ritenuto un referente politico della cosca Caridi. Plutino avrebbe fornito alla cosca un «concreto, specifico, consapevole e volontario contributo come referente politico». 
Ma le vicende che hanno lambito il Comune di Reggio Calabria sono state diverse. Per sapere quali siano state prese in considerazione dal titolare del Viminale per proporre lo scioglimento dell’Ente, con «consenso unanime in Cdm», bisognerà attendere le motivazioni del provvedimento. Il ministro, per adesso, ha parlato di diversi episodi che «toccano gli amministratori o atti che non sono stati posti in essere, come i controlli preventivi per gli appalti, la gestione dei beni confiscati alla mafia, la gestione dei mercati e delle case popolari». Ma nella polemica politica e giornalistica che ha infiammato la città negli ultimi mesi, si è parlato anche dell’assessore ai Lavori pubblici Pasquale Morisani (che non è indagato), che secondo un’inchiesta della Dda sarebbe stato sostenuto dalla cosca Crucitti alle comunali del 2007, e dell’assessore all’Urbanistica Luigi Tuccio, dimessosi dopo che la suocera è stata sottoposta a fermo per avere favorito la latitanza del boss latitante Domenico Condello. 
La decisione del Governo ha provocato una serie di reazioni. Per il segretario Pd, Pierluigi Bersani, lo scioglimento «deve farci riflettere sulla gravità alla quale è arrivata la situazione nel Paese. Non è possibile che una larga parte del territorio debba fare i conti con una così forte infiltrazione delle organizzazioni criminali». Per Nichi Vendola «l’atto doloroso dello scioglimento ci dice quanto la cattiva politica `in contiguità con la ’ndrangheta abbia soffocato il passato e soffochi il presente e il futuro di questa terra meravigliosa». Di «decisione diventata indispensabile ed indifferibile» hanno parlato Antonio Di Pietro e Ignazio Messina, di Idv, secondo i quali «ora vanno individuati i responsabili».  

Perché il Consiglio comunale di Reggio Calabria è stato sciolto

Perché il Consiglio comunale di Reggio Calabria è stato sciolto

Mentre il Consiglio dei ministri di ieri sera era ancora in corso, il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri ha tenuto una conferenza stampa a Palazzo Chigi in cui ha annunciato lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria a causa di “condizionamenti esterni da parte della criminalità organizzata”. La delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Cancellieri, dovrà essere confermata da un decreto del presidente della Repubblica. È la prima volta dal 1991, anno in cui entrò in vigore la legge che permette lo scioglimento di enti locali da parte del governo, che il provvedimento riguarda un capoluogo di provincia.
Le ragioni dello scioglimento sono state spiegate dal ministro precisando che si tratta di un atto «preventivo e non sanzionatorio» e che non è motivato da «dissesto». La decisione è stata presa non per «infiltrazioni mafiose» ma per «contiguità» con ambienti della criminalità organizzata. Il ministro ha detto che la decisione riguarda solo questa amministrazione, che è iniziata con l’elezione di Demetrio Arena (PdL) nel maggio 2011.
La precisazione è stata fatta per escludere esplicitamente il periodo in carica del precedente sindaco Giuseppe Scopelliti, che è l’attuale presidente della Regione: ma è difficile che non costituisca un problema per lui, dato che dal 2002 al 2010 è stato sindaco del capoluogo e che Arena gli è notoriamente molto vicino. Scopelliti infatti ha criticato la decisione, avanzando la possibilità che si tratti di una scelta «politica» perché comuni vicini a Reggio e nella sua stessa situazione, a dire di Scopelliti, non sono stati sciolti. Da circa una settimana, tutta la giunta regionale di centrodestra è indagata per la nomina di un dirigente.
Di un possibile scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria si parlava da settimane, e da circa sei mesi una commissione di sei persone – tre commissari del ministero dell’Interno e tre ufficiali delle forze dell’ordine – stava lavorando alla relazione di 400 pagine che è stata presentata ieri e che ha portato allo scioglimento. Secondo quanto riportano i giornali di oggi, tra gli episodi più gravi c’è il tentativo di infiltrazione di una ‘ndrina (le famiglie dell’organizzazione mafiosa calabrese, la ‘ndrandgheta), quella dei Tegano, in un’azienda municipalizzata del comune, la Multiservizi, che è stata sciolta pochi mesi fa.
Un altro episodio grave è stato, nel dicembre 2011, l’arresto del consigliere comunale Giuseppe Plutino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Ci sono poi i rapporti di diversi assessori, tra cui quello ai lavori pubblici Pasquale Morisani, con capi della criminalità organizzata, oltre alla partecipazione del presidente del consiglio comunale ai funerali di un boss morto nel 2010. Oltre ai collegamenti con la criminalità organizzata, anche la situazione finanziaria del comune era grave, con un passivo di bilancio stimato in diverse decine di milioni di euro e causato da anni di sprechi e cattiva gestione: i conti del comune erano già stati segnalati lo scorso anno dal ministero dell’Economia e dalla Corte dei Conti.
Il comune sarà guidato ora per 18 mesi da tre commissari straordinari, nominati dal governo: l’attuale prefetto di Crotone Vincenzo Panico, il viceprefetto Giuseppe Castaldo e il dirigente dei servizi ispettivi di finanza della Ragioneria dello Stato, Dante Piazza. Secondo la legge del 1991, lo scioglimento di enti locali (ma in vent’anni sono stati sciolti solo amministrazioni comunali e qualche azienda sanitaria locale) può essere deciso anche senza che la magistratura accerti un reato. Bastano semplici «elementi» che il Consiglio dei ministri ritiene siano sufficienti a indicare un collegamento o un’influenza della criminalità organizzata sull’ente locale. A marzo scorso, altri sette comuni di tutta Italia erano stati sciolti dal Consiglio dei ministri.
Foto: Mauro Scrobogna / LaPresse
dopo lo scioglimento del comune deciso ieri
’Ndrangheta a Reggio, arrestato direttore della municipalizzata

Il Consiglio Comunlae di Reggio Calabria in un’immagine del 9 ottobre quando dipendenti della Gdm, la società che gestiva numerosi supermercati a Reggio Calabria e che poi è fallita, hanno occupato la sala consiliare
Otto in carcere tra cui il vertice della società per la raccolta dei rifiuti: infiltrazione della cosca dei Fontana In manette anche il boss
Dopo che ieri il Consiglio dei ministri ha sciolto per contiguità con le associazioni criminali il Comune di Reggio Calabria, stamane il direttore operativo della Leonia, municipalizzata del Comune di Reggio per la raccolta dei rifiuti, Bruno De Caria, è stato arrestato nel corso di un’operazione della guardia di finanza e della polizia contro la cosca di `ndrangheta dei Fontana. Bruno De Caria è accusato di associazione mafiosa
Secondo l’accusa De Caria, grazie al suo ruolo, avrebbe favorito l’infiltrazione della cosca nella municipalizzata
Tra gli altri arrestati figurano il boss Giovanni Fontana, i suoi quattro figli Giandomenico, Francesco, Giuseppe e Antonino e le mogli di due di questi 
L’operazione, condotta dal Gico del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza e dalla Squadra mobile di Reggio Calabria, è finalizzata all’esecuzione di otto ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip su richiesta della Dda reggina, nei confronti di altrettanti presunti affiliati alla cosca operante nel quartiere Archi di Reggio Calabria.  
L’indagine coordinata dalla DDA di Reggio Calabria ed eseguita da Polizia e Guardia di Finanza, ha accertato che la cosca Fontana avrebbe esercitato un pervasivo potere di condizionamento e controllo di tipo mafioso sul `Comparto Ambientale´ o `Comparto rifiuti´ di Reggio Calabria, con riferimento al controllo strutturale delle imprese impegnate nello specifico settore della raccolta dei rifiuti, tra le quali la società mista mista Leonia Spa, partecipata al 51% delle azioni dal Comune di Reggio Calabria. Secondo gli inquirenti l’attività d’indagine evidenzia che le società miste, quali la Leonia ma recentemente anche la Multiservizi Spa per la cosca Tegano, hanno rappresentato la `nuova frontiera´ dei rapporti tra le cosche mafiose e il tessuto economico e sociale. Contestualmente agli arresti, Guardia di finanza e Polizia stanno provvedendo anche al sequestro di beni mobili, immobili e società commerciali che secondo l’accusa sono riconducibili alla cosca Fontana, per un valore complessivo di circa 30 milioni di euro. 
Oltre a Bruno De Caria, 62ene direttore della Leonia (la società di raccolta rifiuti partecipata al 51% dal Comune di Reggio Calabria, sciolto ieri per contiguità con la `ndrangheta), sono stati arrestati: Giovanni Fontana, 67enne ritenuto capo indiscusso della omonima cosca, federata al potente clan Condello; suo figlio Antonino Fontana, 41enne, ritenuto esecutore delle direttive impartite dal padre nel mantenere i rapporti con il direttore operativo della Leonia; Francesco Carmelo Fontana, di 43 anni; Giuseppe Carmelo Fontana, di 35 anni; Giandomenico Fontana di 38 anni; Eufemia Maria Sinicropi di 35 anni; Giuseppina Maria Grazia Surace di 35 anni. I primi cinque sono accusati di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalità mafiose, le due donne invece sono accusate di intestazione fittizia di beni aggravata dalle finalità di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa, la Sinicropi, moglie di Antonino Fontana, quale titolare formale della società Se.Mac. srl, Italservice srl, Si.Ce. srl; la Surace quale titolare formale della società Si.Ce. srl. 
Il Consiglio dei ministri, ieri, ha sciolto il Comune di Reggio Calabria per «contiguità» mafiose dell’amministrazione. E’ la prima volta che il provvedimento viene preso per un capoluogo di provincia, ed è stata “una decisione sofferta” ma sulla quale c’è stato un “consenso unanime”, ha sottolineato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, annunciando la decisione.  
Una decisione – ha sottolineato il ministro – dovuta «non al dissesto finanziario, evento che ancora non si è verificato e che “speriamo che il Commissario ponga in essere misure per evitarlo”, ma “per la contiguità con alcuni ambienti” e per “alcune azioni” o omissioni che facevano pensare appunto ad una “contiguità”. Comunque “non a infiltrazioni” mafiose. E soprattutto, dice il ministro rispondendo ad una domanda, “lo scioglimento riguarda questa amministrazione, non quella precedente” ed è “un atto preventivo, non sanzionatorio”.  
Il cdm ha approvato all’unanimità la relazione presentata dal Viminale, che proponeva lo scioglimento. Una relazione alla cui base sta il lavoro della Commissione d’accesso al Comune di Reggio, durata 6 mesi. Era stato l’ex prefetto di Reggio Calabria Luigi Varratta a gennaio scorso a insediare la commissione d’accesso nell’assise comunale reggina per verificare le eventuali infiltrazioni delle cosche ndranghetiste nell’economia della città di Reggio Calabria. Sotto la lente di ingrandimento della commissione prefettizia, era finita anche la gestione Scopelliti, sindaco di Reggio Calabria fino al 2010 quando venne eletto a governatore della regione, prima che a guidare la città arrivasse l’attuale sindaco Demetrio Arena. Ma “lo scioglimento riguarda questa amministrazione, non quella precedente” ha sottolineato Cancellieri.  
I commissari hanno anche verificato le presunte irregolarità di natura contabile e amministrativa che hanno portato il comune ad avere un buco nel bilancio di circa 160 milioni. I partiti d’opposizione (come il Pd, il Pdci, Idv, ma anche Fli con Angela Napoli in prima linea, che con la deputata del Pd Doris Lo Moro aveva chiesto lo scioglimento) avevano già denunciato lo stato in cui si trova la città chiedendo a gran voce che venisse fatta luce sull’eventualità di infiltrazione delle cosche e sulle responsabilità politiche. 
A fine luglio la commissione d’accesso ha consegnato la relazione al nuovo prefetto della città dello Stretto Vittorio Piscitelli, che con le sue valutazioni le ha trasmesse a Roma al ministero dell’Interno. Al Viminale sono state analizzate passo dopo passo da funzionari e consiglieri del ministro Cancellieri, un’analisi che oggi ha portato il Consiglio dei ministri a sciogliere il Comune. La relazione del Viminale con la proposta di scioglimento approvata oggi in cdm sarà quindi oggetto di un decreto del presidente della Repubblica che scioglierà tutti gli organi elettivi di Reggio Calabria: sindaco, consiglio e giunta, ai sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo 267 del 2000, che prevede lo scioglimento per condizionamenti esterni della criminalità organizzata. Per il Viminale – a quanto si apprende – ci sono condizionamenti esterni alla gestione del comune che possono recare pregiudizio agli interessi collettivi. 

Il Viminale scioglie per mafia il comune di Reggio Calabria

 


Il ministro Cancellieri: “Un atto sofferto, fatto a favore della città”. La pesantissima relazione del Prefetto



di GIUSEPPE BALDESSARRO

 

REGGIO CALABRIA – Il Viminale ha sciolto per mafia il Comune di Reggio Calabria. E’ la prima volta in 21 anni, da quando esiste la legge, che viene presa una decisione del genere. Una decisione che mette politicamente nei guai l’ex sindaco – ed attuale governatore della Calabria – Giuseppe Scopelliti, già rinviato a giudizio 1per reati connessi alla sua gestione.  Lo scioglimento del comune di Reggio Calabria “è stato un atto sofferto fatto a favore della città” ha dichiarato il ministro. Già nominato Commissario Vincenzo Perico, attuale Prefetto di Crotone.Il consenso nel Cdm è stato unanime: il Comune di REggio è in pieno dissesto finanziario “ma speriamo che il Commissario riesca ad aveitare il crac” ha detto la Cancellieri. Lo scioglimento è stato decretato “per la contiguità con alcuni ambienti” e per “alcune azioni” o omissioni che facevano pensare appunto ad una “contiguità”. “Lo scioglimento riguarda questa amministrazione, non quella precedente ed è un atto preventivo, non sanzionatorio”.

L’INCHIESTA DI REPUBBLICA 2La relazione. Il prefetto di Reggio Calabria, Vittorio Piscitelli era stato piuttosto

chiaro. Sul tavolo del ministro Anna Maria Cancellieri era arrivato l’invito a valutare le scelte da adottare per “rimuovere le cause del rischio di infiltrazioni mafiose”. Rischio evidente. La relazione della commissione guidata dal prefetto Valerio Valenti è particolarmente pesante. Contiene infatti tutta una serie di elementi già noti, ma anche alcuni particolari scottanti e del tutto inediti. Insomma i commissari ed i tre componenti tecnici che con loro hanno collaborato per quasi sei mesi alla stesura del documento hanno portato a compimento un lavoro capillare. Reggio, è questa la conclusione cui giunge la relazione, non è solo a rischio infiltrazioni mafiose, ma sarebbe “almeno in alcuni settori” ormai nelle mani di personaggi più o meno ricollegabili a esponenti della ‘ndrangheta. Ma quel che è più grave, o almeno questo sembra, l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Demetrio Arena non avrebbe attivato “le misure necessarie” ad arginare il rischio mafia.Ad Arena, la relazione concede una sola attenuante. Ossia lo scioglimento della Multiservizi, società infiltratta dalla cosca Tegano. Passaggio che tuttavia è stato imposto dal fatto che la Prefettura non aveva più rilasciato il certificato antimafia alla componente privata dell’azienda a maggioranza pubblica. In altri termini se qualcosa è stato fatto, non sembra essere stato il frutto di valutazioni dell’attuale governo cittadino.

I consiglieri inquisiti. La relazione passa allo scanner degli esperti, ad esempio, i consiglieri comunali e i componenti della giunta eletti nel 2011, di cui analizza rapporti di parentela e frequentazioni. Ci sono intere pagine dedicate ad esempio a Giuseppe Plutino, il consigliere del Pdl detenuto con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, e alle amicizie discutibili di Pasquale Morisani (assessore al Lavori pubblici) con il boss Pasquale Crucitti. Senza dimenticare della vicenda dell’allora assessore all’Urbanistica Luigi Tuccio, genero (anche se non formalmente sposato) di Giuseppa Santa Cotroneo, madre di Giampiera Nocera. La Cotroneo, è finita mano e piedi nell’inchiesta “Lancio” del Ros dei carabinieri per avere offerto riparo alla latitanza del boss Domenico Condello. Tra l’altro la compagna di Tuccio è sorella di Bruna Nocera sposata da 20 anni a Pasquale Condello, fratello del latitante, cugino e omonimo de ‘U Supremu’, fondacapo storico della cosca. C’è poi l’episodio dei funerali del boss Domenico Serraino, morto nel 2010. A quelle esequie, benché vietate in forma pubblica dal Questore, c’era l’attuale presidente del Consiglio Comunale (tra l’altro poliziotto in aspettativa) Sebi Vecchio.

Fin qui quanto si sapeva già, a cui va aggiunto che nella relazione vengono segnalate “posizioni a rischio”, per altri componenti della maggioranza di centrodestra che sostiene Arena e per un componente dell’opposizione coinvolto per i guai giudiziari del padre.

I dipendenti e l’influenza dei clan.I commissari dell’Interno chiamati a svolgere il compito guidati da Valerio Valenti, (Antonio Giaccari e Michele Donega) e i tre tecnici che li hanno coadiuvati (Carlo Pieroni, tenente colonnello dei Carabinieri di Reggio; il tenente colonnello della Guardia di Finanza, Gerlando Mastrodomenico e il funzionario di polizia Enrico Palermo), non si sono fermati e continuando a scavare hanno messo assieme le schede personali di una quarantina di dipendente del Comune di Reggio (ovviamente si tratta di persone che occupano posti di responsabilità) legati a vario titolo ad esponenti della criminalità organizzata reggina. Tra essi, moltissimi funzionari ed alcuni dirigenti. C’è poi la partita vera, ossia quella degli appalti. Gran parte della relazione infatti disegna la mappa delle aziende in odore di ‘ndrangheta che si sarebbero accaparrate decine e decine di commesse pubbliche affidate, anche in via diretta, da Palazzo San Giorgio. Ed è questa, secondo la relazione, la dimostrazione che i clan non solo hanno la possibilità di fare affari con il comune, ma che li hanno già fatti. Naturalmente non si tratta di aziende spuntate dal nulla con l’elezione di Arena, ma di società che anche durante l’amministrazione di Giuseppe Scopelliti (attuale governatore della Calabria) allungavano le mani sulle commesse del comune. Non solo appalti edili, le cosche infatti avrebbero addentella menti anche nelle stanze dei Servizi sociali con proprie aziende che operano con la benedizione del centrodestra anche nel terzo settore.Le reazioni.  Per il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, “Lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria per contiguità mafiosa deve farci riflettere sulla gravità alla quale è arrivata la situazione nel nostro Paese. Non è possibile che una larga parte del territorio nazionale debba fare i conti con una così forte infiltrazione delle organizzazioni criminali”. Critico, invece, il presidente della Regiona Calabria, Giuseppe Scopelliti: “Se la scelta sarà politica assumeremo le nostre decisioni, chiedendoci se questa sia democrazia. Perchè – si è chiesto – in comuni limitrofi a quello di Reggio in cui sono state dimostrate evidenti commistioni tra amministratori e appartenenti al crimine organizzato, non si è proceduto con lo scioglimento?”. Per Nichi Vendola, segretario del Sel, “ora i reggini hanno l’occasione e la possibilità di riscatto e di rinascita. La città che vuole cambiare  può mettersi alle spalle questa indegna e triste stagione”. Secondo il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro questa contiguità rilevata nel comune di Reggio, “non è solo in Calabria, ma anche in amministrazioni del nord Italia”.

(09 ottobre 2012)
http://www.repubblica.it/cronaca/2012/10/09/news/scioglimento-44197399/

Blitz contro il clan Fontana. Arrestato il direttore
della municipalizzata di Reggio

 
 
10 ottobre 2012, 07:51 Reggio Calabria Cronaca

 
Dalle prime ore
di questa mattina è in corso una operazione volta all’arresto di otto soggetti appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta deiFontana, considerata egemone nel quartiere Archi di
Reggio Calabria e federata al potentissimo cartello del clan Condello. Contemporaneamente sono in corso i sequestri di tutti i beni mobili, immobili e società
commerciali
riconducibili alla cosca, per un valore di oltre 30 milioni di euro, nonché perquisizioni a Reggio Calabria, Roma ed in Toscana.
Ad eseguire
l’ordinanza di applicazione di misura cautelare in carcere è il Gico del Nucleo
di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Reggio e la Squadra Mobile
della Polizia, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia.
IN MANETTE sono finiti anche il presunto capo cosca Giovanni Fontana e Bruno De
Caria
, 62 anni, direttore operativo
della municipalizzata “Leonia
Spa”
, la società mista per la raccolta di rifiuti partecipata al 51% dal
Comune di Reggio Calabria, sciolto
ieri dal Consiglio dei Ministri per mafia
. De Caria è accusato di
associazione di tipo mafioso, turbata libertà del procedimento di scelta del
contraente e abuso d’ufficio, aggravati dal fine di agevolare l’attività
dell’associazione mafiosa. Nell’estate scorsa fu sciolta anche un’altra società
mista, la Multiservizi che,
secondo gli inquirenti, sarebbe stata “gestita” dal clan Tegano
.
 
TUTTI GLI ARRESTATI | Giovanni Fontana, 67 anni,
ritenuto capo indiscusso della omonima cosca; suo figlio Antonino Fontana, 41enne, ritenuto esecutore delle
direttive impartite dal padre nel mantenere i rapporti con il direttore
operativo della Leonia; Francesco Carmelo
Fontana
, di 43 anni; Giuseppe
Carmelo Fontana
, di 35 anni; Giandomenico Fontana di 38 anni; Eufemia Maria Sinicropi di 35 anni; Giuseppina Maria Grazia Surace di 35 anni.
 
I primi cinque
sono accusati di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni aggravata
dalle modalità mafiose, le due donne invece sono accusate di intestazione
fittizia di beni aggravata dalle finalità di agevolare l’attività
dell’associazione mafiosa, la Sinicropi, moglie di Antonino Fontana, quale
titolare formale della società Se.Mac. srl, Italservice srl, Si.Ce. srl; la
Surace quale titolare formale della società Si.Ce. srl.
h 09:09 |
“Incapacita’ del socio di maggioranza di controllare cosa accadesse in seno alla
societa’ mista”. Lo scrive il gip del Tribunale di Reggio Calabria che ha
emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per le 8 persone coinvolte
nell’operazione condotta questa mattina dalla Squadra Mobile e dal Gico della
Guardia di Finanza
e che ha portato all’arresto del direttore della Leonia,
la societa’ partecipata del Comune di Reggio Calabria, sciolto ieri per
contiguita’ con la ‘ndrangheta, che appunto e’ il socio di maggioranza della
Leonia. “Si puo’ ritenere, senza tema di smentite – scrive il gip
nell’ordinanza
– come le societa’ miste hanno rappresentato uno dei poli di
attenzione della ‘ndrangheta, finendo con il rivelarsi strumento (l’ennesimo)
mediante il quale la criminalita’ organizzata ha infiltrato (sarebbe meglio,
forse, dire l’ha fatta propria) l’economia cittadina”. “Con la prima aggravante
prosegue il magistrato – che cio’ e’ avvenuto in un settore, come
quello dei servizi pubblici, destinato alla collettivita’ e con l’ulteriore
rappresentata dall’incapacita’ (a voler essere ottimisti) del socio di maggioranza di
controllare, nel corso degli anni, cosa accadesse in seno alla societa’ mista”.
Il “socio di maggioranza” e’ il Comune di Reggio Calabria, detentore del 51%
delle azioni della Leonia Spa.

 

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: Scioglimento del Consiglio comunale di Samo (RC), a norma dell’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

Piccolo comune calabrese in provincia di Reggio Calabria con circa novecentoventi abitanti. E’ situato su un ripiano arenaceo, alla sinistra del profondo vallone di Santa Caterina. Fa parte del Parco dell’Aspromonte.

918 (M 450, F 468) Densità per Kmq: 18,3 Superficie: 50,11 Kmq

Consiglio dei Ministri: 20/01/2012
Proponenti: Interno
Status: Pubblicato in G.U. n. 61 del 13/03/2012

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Considerato che nel comune di Samo (Reggio Calabria), i cui organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009, sussistono forme di ingerenza della criminalita’ organizzata;
Considerato che tali ingerenze espongono l’amministrazione stessa a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialita’ dell’amministrazione comunale di Samo;
Rilevato, altresi’, che la permeabilita’ dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalita’ organizzata arreca grave pregiudizio allo stato della sicurezza pubblica e determina lo svilimento delle istituzioni e la perdita di prestigio e di credibilita’ degli organi istituzionali;
Ritenuto che, al fine di rimuovere la causa del grave inquinamento e deterioramento dell’amministrazione comunale, si rende necessario far luogo allo scioglimento degli organi ordinari del comune di Samo, per il ripristino dei principi democratici e di liberta’ collettiva;
Visto l’art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
Vista la proposta del Ministro dell’Interno, la cui relazione e’ allegata al presente decreto e ne costituisce parte integrante;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 20 gennaio 2012;
Decreta:
Art. 1
Il consiglio comunale di Samo (Reggio Calabria) e’ sciolto per la durata di diciotto mesi.
Art. 2
La gestione del comune di Samo (Reggio Calabria) e’ affidata alla commissione straordinaria composta da:  dr.ssa Maria Stefania Caracciolo – viceprefetto;  dr. Alfredo Minieri – viceprefetto aggiunto;  dr.ssa Agata Polizzi – funzionario economico finanziario.
Art. 3
La commissione straordinaria per la gestione dell’ente esercita, fino all’insediamento degli organi ordinari a norma di legge, le attribuzioni spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco nonche’ ogni altro potere ed incarico connesso alle medesime cariche.
Dato a Roma, addi’ 24 gennaio 2012
NAPOLITANO
Monti, Presidente del Consiglio
Cancellieri, Ministro dell’interno
Registrato alla Corte dei conti il 30 gennaio 2012
Interno, registro n. 1, foglio n. 141

Allegato
Al Presidente della Repubblica
Il comune di Samo (Reggio Calabria), i cui organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009, presenta forme di ingerenza da parte della criminalita’ organizzata che compromettono la libera determinazione e l’imparzialita’ degli organi elettivi, il buon andamento dell’amministrazione ed il funzionamento dei servizi, con grave pregiudizio per lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica.
A seguito di accertamenti avviati dagli organi di polizia, in considerazione del contesto ambientale, nonche’ del monitoraggio dell’attivita’ dell’amministrazione comunale e della vicenda giudiziaria relativa all’assessore ai lavori pubblici, personale, bilancio e sport, sono emersi elementi significativi su possibili collegamenti degli amministratori dell’ente locale con esponenti delle cosche attive sul territorio.
Gli accertamenti svolti hanno evidenziato una fitta trama di relazioni parentali e frequentazioni di alcuni amministratori e dipendenti con soggetti controindicati, nonche’ una gestione dell’ente, da parte dell’apparato politico amministrativo, clientelare e poco trasparente connessa ai rapporti di parentela tra alcuni amministratori e dipendenti dell’ente.
In relazione a tale circostanza ed al fine di verificare la sussistenza di forme di condizionamento e di infiltrazione delle locali consorterie nei confronti dell’amministrazione comunale, il Prefetto di Reggio Calabria, con decreto del 14 marzo 2011, ha disposto l’accesso presso il suddetto comune ai sensi dell’art. 1, comma 4, del decreto legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, per gli accertamenti di rito.
Al termine delle indagini effettuate la commissione incaricata dell’accesso ha depositato le proprie conclusioni, ed il Prefetto di Reggio Calabria, come unanimemente ritenuto nella riunione di coordinamento delle forze di polizia svoltasi alla presenza del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, ha formulato la proposta di scioglimento del consiglio comunale di Samo con l’allegata relazione in data 27 ottobre 2011, che costituisce parte integrante della presente proposta, in cui si da’ atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori locali con la criminalita’ organizzata locale.
La commissione di indagine ha preso in esame oltre all’intero andamento gestionale dell’amministrazione comunale, la cornice criminale ed il contesto ambientale ove si colloca l’ente locale, con particolare riguardo al profilo di alcuni amministratori e dipendenti comunali connotati da precedenti di polizia e da rapporti di parentela e frequentazioni con soggetti controindicati o contigui alle cosche mafiose operanti nel territorio samese e nelle zone limitrofe.
In particolare, e’ rilevante la posizione dell’organo di vertice, che risulta coinvolto in procedimenti penali per reati di particolare gravita’ ed e’ stato notato e controllato con soggetti controindicati.
Anche molti componenti dell’attuale consiglio comunale e della giunta sono gravati da pregiudizi di polizia e sono stati notati con elementi di spicco della locale consorteria mafiosa o con soggetti che risultano vicini alle organizzazioni criminali.
Assume una posizione di rilievo l’assessore con delega ai lavori pubblici, personale, bilancio e sport che, coinvolto in vicende giudiziarie di particolare significativita’, e’ ritenuto elemento sensibile all’influenza criminale esercitata da una delle cosche mafiose piu’ pericolose che operano sul territorio ed e’ considerato personalita’ cardine attorno al quale ruota l’intero sistema dei lavori pubblici.
E’ stato riscontrato, infatti, che alcuni appalti sono stati aggiudicati a ditte riconducibili a congiunti del detto assessore, nonche’ ad una ditta il cui titolare e’ coinvolto, unitamente all’amministratore in questione, in un procedimento penale per i reati di associazione per delinquere e turbata liberta’ degli incanti; procedimento questo che ha sgominato un pericoloso cartello di imprese associatesi al fine di spartirsi, a mezzo di turbativa d’asta, gli appalti sul territorio.
Le irregolarita’ ed illegittimita’ che sono state riscontrate nella attuale consiliatura riguardano anche alcuni atti che trovano il loro presupposto in provvedimenti emanati dall’amministrazione precedente, nella quale compaiono l’attuale sindaco ed alcuni amministratori .
E’ emblematica la vicenda relativa alla realizzazione di una strada di collegamento del centro abitato di Samo all’importante localita’ sciistica di Gambarie. Dall’esame della documentazione relativa a tale opera e’ emerso che l’appalto concernente i lavori di un tronco di quella strada di collegamento e’ stato aggiudicato nel 2006 alla ditta di cui era titolare il fratello dell’attuale assessore ai lavori pubblici che, al tempo della citata aggiudicazione, era presidente del consiglio comunale.
Nel prosieguo l’amministrazione comunale ha consentito che nell’esecuzione dei suddetti lavori subentrasse altra ditta che, pur titolare di partita I.V.A., non risulta iscritta alla Camera di Commercio, pertanto e’ sprovvista dei requisiti tecnici e giuridici previsti dalla normativa vigente in materia.
Anche altri lavori riguardanti il completamento della strada di collegamento di cui si e’ detto sono stati aggiudicati alla ditta il cui titolare e’ legato da rapporti di parentela all’assessore ai lavori pubblici.
Sintomatico del condizionamento dell’amministrazione locale e’ l’atteggiamento di resistenza o addirittura di rifiuto tenuto nei confronti della commissione di indagine alla richiesta di documentazione relativa agli appalti pubblici. Tale atteggiamento era gia’ stato segnalato dalle forze di polizia nel corso dell’attivita’ di monitoraggio svolta sull’ente.
Le criticita’ riscontrate in materia di affidamento dei lavori pubblici sono da imputare ad un’azione amministrativa che ha sovente disatteso le normative di settore.
Infatti, non e’ stato istituito l’albo dei fornitori e delle ditte distinto per tipologie dei lavori e per i diversi criteri di classificazione, previsto dall’art. 45 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163; per la scelta del contraente non sono stati osservati criteri di rotazione tra le ditte in possesso di documentata capacita’ tecnica; sono state altresi’ riscontrate omissioni nelle procedure di aggiudicazione dei lavori, per le quali non sono stati predefiniti i relativi criteri.
Alcune gare, che sono state aggiudicate ad una ditta la cui titolare e’ affine dell’assessore ai lavori pubblici, presentano sempre le stesse irregolarita’, quali la partecipazione di una sola ditta alla gara, la consegna dei lavori in via d’urgenza senza giustificato motivo, la sottoscrizione del contratto in data successiva all’ultimazione dei lavori, la rimodulazione del quadro economico effettuata dopo l’approvazione e la liquidazione degli atti contabili.
Un’assenza di trasparenza connota i bandi relativi agli incarichi professionali da conferire per la progettazione di alcune opere, in quanto carenti dei criteri di scelta.
Criticita’ sono state riscontrate anche nel settore tributi.
Infatti l’attivita’ di accesso svolta ha evidenziato consistenti ritardi nella riscossione dei canoni idrici e della TARSU.
In particolare, per quanto riguarda il canone dell’acqua, l’ultimo ruolo emesso risale al 2006 con percentuale di riscossione inferiore al 50% e solo nell’anno 2010, per far fronte ad una situazione tributaria deficitaria, sono stati predisposti i ruoli relativi ai canoni non riscossi, vicenda che ha determinato una situazione di malessere nella popolazione ed ha fatto registrare numerose richieste di distacco della fornitura idrica.
Relativamente alla tassa rifiuti solidi urbani l’amministrazione, per recuperare il consenso della popolazione, ha disposto lo sgravio o la restituzione della quarta rata della detta tassa, cio’ ha comportato la necessita’ di effettuare una serie di assestamenti di bilancio, mirati essenzialmente al riequilibrio proprio dei dati contabili conseguenti alla decisione assunta dall’amministrazione.
Fra i cittadini morosi per canone acqua e TARSU vi sono anche alcuni amministratori e dipendenti comunali, la maggior parte dei quali risulta abbiano vincoli di parentela o rapporti di stretta contiguita’ con soggetti affiliati o vicini alle organizzazioni malavitose operanti nel contesto socio economico-territoriale di riferimento.
E’ particolarmente censurabile che l’inadempienza sia stata posta in essere da soggetti titolari di munus publicum tenuti in quanto tali a garantire il rispetto della legalita’.
Ulteriori criticita’ sono emerse nelle procedure relative al servizio di mensa scolastica affidato in via diretta, successivamente alle indizioni di gare andate deserte per non esserne stata data intenzionalmente adeguata pubblicita’, ad una ditta intestata alla sorella di un assessore. Nell’aggiudicazione del servizio e’ stato fatto riferimento al tipo di abilitazione e di licenza richiesti, ma nessun richiamo alla documentazione obbligatoria prevista dalle norme di legge in materia.
Sintomatico di una cattiva gestione dell’ente e’ anche il mancato inserimento nel registro dei beni del comune di 32 alloggi risultanti dal catasto fabbricati, per i quali l’ente non si e’ attivato per porre in essere gli adempimenti di competenza, ivi compresa la riscossione dei canoni di affitto.
La commissione ha evidenziato la carenza di controlli in materia amministrativa, edilizia-urbanistica e circolazione stradale.
Nell’ultimo triennio non risultano effettuate le necessarie attivita’ di controllo del territorio e di contrasto all’abusivismo edilizio da parte degli organi a cio’ preposti, sebbene il fenomeno sia largamente diffuso ed evidente, limitandosi tali controlli alla compilazione di rapporti mensili sulle opere di lottizzazioni abusive ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n.47, tutti negativi e non supportati da alcuna relazione di servizio che attesti lo svolgimento di operazioni sul territorio.
E’ emblematico dello sviamento dell’attivita’ amministrativa anche il coinvolgimento di alcuni esponenti politici, compreso il sindaco, e di tecnici dell’ente in procedimenti penali per violazioni in materia edilizia.
Occorre rilevare che la carente azione di governo del territorio, sotto il profilo urbanistico ed edilizio denota una amministrazione locale timida, debole, collusa con il sistema mafioso di condizionamento dello sviluppo sociale ed economico del territorio.
Soprattutto la mancata repressione dell’abusivismo costituisce l’ambito in cui meglio si puo’ apprezzare il pericolo oggettivo di commistione tra i poteri pubblici e gli interessi mafiosi.
Segnali indicativi di un condizionamento dell’attivita’ amministrativa sono stati riscontrati nell’ambito della raccolta dei rifiuti solidi urbani ove, nel periodo in cui l’automezzo comunale era in avaria, l’ente ha affidato il relativo servizio, mediante la procedura della somma urgenza, ad un societa’ la cui titolare e’ parente del gia’ citato assessore ai lavori pubblici. Alla suddetta ditta e sempre con la stessa procedura di somma urgenza era stato affidato, a far data dal 2008, il servizio di raccolta trasporto di rifiuti ingombranti. Non e’ di poco conto che la ditta sia stata destinataria, nell’anno 2007, di provvedimento interdittivo emesso dalla Prefettura di Reggio Calabria.
Elementi significativi dell’intreccio di interessi tra apparato amministrativo ed ambienti controindicati emergono anche relativamente alle concessioni di pascolo rilasciate nel corso del 2009 e 2010 dall’ente locale proprietario: molti beneficiari di tali concessioni non sono residenti nel comune di Samo, risultano alcuni imparentati con esponenti delle cosche locali, altri soliti accompagnarsi a persone controindicate.
Le suddette gravi anomalie si inseriscono in una situazione di disorganizzazione e disservizio del settore in cui e’ stata riscontrata la mancata predisposizione della graduatoria per l’assegnazione dei terreni, la durata delle concessioni superiore a quella prevista dal regolamento, la mancata registrazione al protocollo delle concessioni stesse, molte rilasciate in difformita’ alle norme regolamentari, peraltro non adeguate alla legge quadro in materia di incendi boschivi.
L’attivita’ di accesso ha riscontrato, quindi, all’interno dell’ente, un contesto generale di diffusa illegalita’, elemento che costituisce una delle condizioni tipiche per il determinarsi del condizionamento mafioso, essendo evidente che di fronte ad un sistema rigoroso e rispettoso delle norme, l’infiltrazione mafiosa si manifesta con il ricorso a sistemi coercitivi, mentre la penetrazione risulta piu’ agevole in condizioni di disordine organizzativo, di sviamento dell’attivita’ di gestione, di mancanza di rispetto generalizzata delle procedure amministrative, consentendo tali circostanze che l’illegalita’ faccia da schermo all’infiltrazione delle cosche locali.
L’insieme dei suesposti elementi e’ idoneo a suffragare le rilevate forme di condizionamento del procedimento di formazione della volonta’ degli organi comunali, essendo questo inciso da collegamenti indizianti la compromissione del buon andamento e dell’imparzialita’ dell’amministrazione comunale a causa delle deviazioni nella conduzione di settori cruciali nella gestione dell’ente.
Ritengo pertanto che, sulla base di tali elementi, ricorrano le condizioni per l’adozione del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di Samo (Reggio Calabria) ai sensi dell’art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con l’affidamento della gestione dell’ente locale ad una commissione straordinaria, per rimuovere gli effetti delle predette anomalie, anche in virtu’ degli speciali poteri di cui all’art. 145 del medesimo decreto legislativo.
In relazione alla presenza ed all’estensione dell’influenza criminale, si rende necessario che la durata della gestione commissariale sia determinata in diciotto mesi.
Roma, 19 gennaio 2012
Il Ministro dell’interno: Cancellieri
FONTE:

 

Il governo scioglie per mafia il Comune di Reggio Calabria.Commissione Accesso Atti Comune Isola delle Femmine, MAFIAADDIO PIZZO 5,

Italcementi sotto sequestro per emissioni nocive

Italcementi di
Colleferro sotto sequestro per emissioni nocive

 

Valle del Sacco, un secolo di veleni

La videoinchiesta di Antonio Cianciullo e Giulio La Monica

Il provvedimento adottato a seguito di irregolarità nel
funzionamento dei camini del cementificio. Il gip ha dato ai responsabili
dell’impianto dieci giorni di tempo per eliminare gli inconvenienti. Avviso di
garanzia al direttore dello stabilimento Alfredo Vitale

Italcementi

<!– –>
E’ la Italcementi il nuovo caso Ilva  scoppiato questa mattina, a cinquanta chilometri da Roma, nel cuore della città industriale di Colleferro, uno dei 57 siti d’interesse nazionale che attendono da decenni una bonifica. Il Noe del Lazio guidato dal capitano Pietro Rajola Pescarini – ha sequestrato uno dei principali impianti di produzione di cemento del paese, una gigantesca cattedrale nata e cresciuta a poche centinaia di metri dal centro storico della città in provincia di Roma.
Emissioni oltre i limiti consentiti, mancato rispetto delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale, esercizio di una parte dell’impianto senza la prescritta Aia: pesanti le accuse che il pm di Velletri Giuseppe Travaglini ha rilevato dopo una serie di controlli,  accolte dal gip Giuseppe Cario, che ha disposto il sequestro  dell’intero impianto, evidenziando come “il protrarsi di tale situazione costituisca fonte di pericolo generale”. Ora la società bresciana ha dieci  giorni di tempo per poter risolvere i tanti problemi che il Noe ha scoperto  nelle ispezioni all’interno della fabbrica di Colleferro, prima dell’eventuale  fermo degli impianti. Un tempo ridottissimo, un conto alla rovescia arrivato  dopo anni di accuse da parte delle associazioni ambientaliste della città e di  dati allarmanti pubblicati sugli studi epidemiologici rispetto all’aumento della  patologie respiratorie nelle fasce giovanili nella zona.
L’impianto sorge in un’area particolarmente delicata dal punto di vista  ambientale, dove sono in funzione due inceneritori – sequestrati a loro volta  nel 2009 e poi riavviati dopo un anno di fermo – un polo delle fabbriche di  esplosivi e un’intera valle contaminata dai derivati del lindano, la sostanza  base del Ddt. Sul funzionamento dell’Italcementi il gip Cario elenca le tante  presunte violazioni delle norme ambientali. Alcune prescrizioni dell’Aia  rilasciata dalla provincia di Roma non sarebbero state rispettate, con  emissioni, nel caso di un camino, che superano i limiti autorizzati; sono poi  “ben 14 i camini risultati non conformi alle prescrizioni, in quanto non dotati  di prese di campionamento”, rendendo impossibile “eseguire controlli analitici”;  e ancora “la possibilità di inoltrare i fumi caldi delle emissioni (…) verso  altri punti di emissione determina l’impossibilità del monitoraggio, non avendo  la società descritto le modalità di funzionamento dei due forni”. Un quadro  definito grave dagli investigatori. Con il decreto di sequestro è stato anche  notificato il contestuale avviso di garanzia al direttore dell’impianto  Italcementi di Colleferro, Alfredo Vitale, accusato dalla  procura di Velletri di aver violato l’articolo 29 del decreto ambientale del  2006. Al momento non risultano altri indagati.

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/11/italcementi-di-colleferro-sotto-sequestro-per-emissioni-nocive/379238/

LAVORO & SALUTE



Colleferro, sigilli all’Italcementi
L’accusa: dai camini emissioni
nocive



Il gip di Velletri: 14 scarichi non a norma. Direttore indagato. Dieci
giorni per mettersi in regola, altrimenti l’impianto sarà spento. Il sindaco: a
rischio i redditi di 500 famiglie


Lo stabilimento Italcementi di Colleferro (Foto Proto)
Lo stabilimento Italcementi Collferro

(Foto Proto)

  

Colleferro, sigilli all’Italcementi 


L’accusa: dai camini
emissioni nocive

Il gip di Velletri: 14 scarichi non a norma. Direttore indagato.
Dieci giorni per mettersi in regola, altrimenti l’impianto sarà spento. Il  sindaco: a rischio i redditi di 500 famiglie


ROMA –  Emissioni nocive. Per questo i carabinieri del Noe, su disposizione del  gip di Velletri Giuseppe Cairo, hanno sequestrato lo stabilimento Italcementi di  Colleferro. Il direttore dell’impianto, Alfredo Vitale, è indagato per  violazione delle norme Aia (Autorizzazione integrata ambiente). Secondo il pm  Giuseppe Travaglini, titolare dell’inchiesta nata un anno fa, una parte dei  camini dell’Italcementi non è a norma e l’Autorizzazione integrata ambientale  (Aia) è stata disattesa. Proprio come all’Ilva.


I  CAMINI FUORILEGGE – Su 119 camini ne sono stati controllati 30 (circa) e
14, scrive il gip nel decreto di sequestro preventivo, sono risultati «non
conformi alle prescrizioni in quanto non dotati di prese di campionamento o
sbocco verticale». Inoltre, sottolinea il giudice, suscita perplessità il fatto
che l’azienda abbia fornito due versioni sul funzionamento dell’impianto.
Infatti «quanto dichiarato dalla società a seguito di un controllo congiunto
svolto il 27 ottobre dal Noe, dall’Arpa e dai tecnici della Provincia di Roma
non trova riscontro con quanto contenuto nella relazione tecnica prodotta a suo
tempo dalla società per ottenere l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA)».
In particolare i carabinieri del Nucleo investigativo del Noe, diretto dal
capitano Pietro Rajola Pescarini, avrebbero individuato un camino che non appare
nell’Aia, cioè abusivo.


(Foto Proto)
Foto Proto

PERICOLO SCARICHI – Per il gip «appare  assolutamente evidente che il protrarsi di tale situazione costituisca fonte di  pericolo generale per gli scarichi in atmosfera». E poi il sequestro è da  adottare perchè «vi è il concreto pericolo che la libera disponibilità dello  stabilimento possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato connesso o  consentire la reiterazione dello stesso o di altri reati». Il giudice ha  assegnato all’Italcementi 10 giorni di tempo per presentare un cronoprogramma e  mettersi in regola, altrimenti alle 10 di lunedì 22 ottobre l’impianto sarà
spento.



«ADEGUAMENTO GIA’ IN CORSO» – Da parte  sua l’Italcementi precisa che il sequestro «riguarda l’adeguamento geometrico  alle normative europee di alcuni punti di emissione, adeguamento in corso di  realizzazione da alcune settimane e in gran parte già completato». E in ogni  caso, aggiunge l’azienda, si tratta soltanto «di alcune fasi secondarie  dell’attività produttiva». Nello tabilimento di Colleferro lavorano circa 200  operai.

Operai dell'Italcementi durante una festa per celebrare 2 anni senza incidenti (foto Italcementi)
Operai Italcementi in festa per i 2 anni

senza incidenti (foto Italcementi)

COMUNE PARTE CIVILE – Preoccupato il  sindaco di Colleferro, Mario Cacciotti, che ha convocato per giovedì pomeriggio  i tecnici dell’Arpa, i carabinieri del Noe e i rappresentanti della Italcementi.
«Speriamo che non sia una nuova Ilva – dice il sindaco – Tra dipendenti e  indotto ci sono circa 500 famiglie che ruotano attorno alla fabbrica». E il
sindaco di Colleferro non esclude che «se dalle indagini dovesse venire fuori  che è stata danneggiata la nostra città», il Comune potrebbe costituirsi parte  civile. 


 

Se la natura presenta il conto
l’emergenza infinita del Sacco

Per un secolo ricettacolo di veleni di ogni tipo, il fiume laziale è oggi al centro di un inquinamento devastante che colpisce piante, uomini e animali. “Ora scommettere sulla green economy”dal nostro inviato ANTONIO CIANCIULLO

 

COLLEFERRO (ROMA) Area materiale bellico, zona esplosivi, carrozze ferroviarie. La mappa nell’ufficio per l’emergenza Valle del Sacco ci porta indietro nel tempo. Fino all’inizio del secolo scorso quando, in questa pianura fertile e ricca tra la provincia di Roma e quella di Frosinone, si cominciò a costruire un distretto industriale basato sull’industria bellica e sulla produzione di materiali ferroviari. Poi, nell’euforia degli anni ruggenti, si sono aggiunti il cemento, i pesticidi, la chimica pesante. Lo spazio c’era, le leggi ambientali mancavano o venivano aggirate e così per liberarsi delle scorie tossiche si lasciava fare alla natura: una bella buca per seppellire il problema e non ci si pensava più. Ora la natura ha presentato il conto, come ci hanno chiesto di andare a verificare i lettori di Repubblica.it 


con il terzo sondaggio “scegli la tua inchiesta” 1. Tremila ettari sono sorvegliati speciali: per decenni dovranno fare i conti con i metalli pesanti e con gli altri veleni lasciati ai posteri da chi ha fatto cassa ed è sparito.








 

Gli agricoltori invece sono rimasti e sono furibondi perché a 100 metri a destra e a sinistra del Sacco e in tutte le aree di esondazione non si può coltivare. Il fiume, nel tratto di 80 chilometri che va da Colleferro a Falvaterra, è un malato cronico tenuto sotto osservazione. La cura somministrata negli ultimi sei anni ha permesso di migliorare la situazione delle acque superficiali, ma sotto, nei sedimenti, si sono accumulati veleni che daranno problemi per decenni.

 



 

“Questa zona è una polveriera, basta scavare per scoprire nuovi problemi”, accusa Francesco Bearzi, della Rete per la tutela della Valle del Sacco. “Il rischio è di trovare altri rifiuti interrati in bidoni che con il passare degli anni si arrugginiscono e lasciano filtrare il loro carico tossico. Un disastro che ha responsabilità anche recenti: nel 1993 una sentenza del tribunale di Velletri ha condannato i responsabili di una discarica abusiva di rifiuti tossici a due passi dal fiume, ma nessuno è intervenuto per 12 anni”.

 


Solo nel 2005 continuare a far finta di nulla è diventato impossibile. I controlli di routine sul latte hanno trovato il beta-esaclorocicloesano, una molecola derivata dai pesticidi che aveva fatto un lungo viaggio: dai depositi selvaggi al fiume, dal fiume ai campi, dai campi al foraggio e dal foraggio al latte. A quel punto è scattato l’allarme rosso: il latte contaminato è stato bloccato, le mucche abbattute, i campi dichiarati off limits. Ed è cominciato il percorso di lenta riabilitazione che ha già portato i primi risultati.

 


 

“Abbiamo creato un sistema di 120 pozzi di monitoraggio e di 25 pozzi di intercettazione della falda acquifera inquinata”, spiega Salvatore Spina, coordinatore degli interventi ambientali per l’emergenza. “In questo modo abbiamo messo in sicurezza tutta l’area e abbiamo potuto verificare che, dei mille ettari indagati nella vecchia area industriale, solo il 10 per cento ha problemi di inquinamento”.

 


 

Ma questo 10 per cento ha lavorato in profondità fino a modificare l’equilibrio dei luoghi e dei corpi di chi li abita. Nel sangue degli abitanti della zona risulta, in un numero significativo di casi (una persona su cinque a Ceccano), la presenza della sostanza sul banco degli accusati, il beta-esaclorocicloesano. “In quest’area si sommano i problemi creati da decenni di sviluppo industriale ad alto impatto ambientale, da singoli episodi come lo sversamento di cianuro che ha ucciso in un solo giorno più di 20 mucche e da alcuni picchi di diossina”, ricorda Fabio De Angelis, assessore all’Ambiente della Provincia di Frosinone. “Per questo occorre uscire dall’emergenza con un piano organico che permetta di riutilizzare a fini energetici i terreni dove è proibito coltivare. Si può immaginare un rilancio con il fotovoltaico e con un progetto di fitodepurazione che stiamo mettendo a punto con l’università della Tuscia”.

 


 

“Dichiarare la Valle del Sacco area ad elevata criticità ambientale per accedere ai finanziamenti europei e contestualmente avviare l’iter istitutivo di una grande area protetta: è questa l’unica strategia per rilanciare l’occupazione locale attraverso lo sviluppo della filiera agricola di qualità”, concorda Angelo Bonelli, presidente dei Verdi. “Il Consiglio regionale si è già espresso in questo senso, ora bisogna passare alle azioni concrete. Nonostante l’inquinamento la zona ha grandi potenzialità: non possiamo lasciare che il degrado avanzi mangiandosi un futuro diverso, un futuro che è possibile programmare”.

 


 

A pochi metri dall’ultima discarica, si apre uno scenario completamente diverso. Da una parte le cicatrici lasciate da un secolo di veleni, dall’altra il paesaggio che nell’Ottocento aveva attirato i viaggiatori delGrand Tour: i 470 ettari del parco naturale ‘La Selva di Paliano’, la strada del Cesanese del Piglio, un vitigno in fase di rilancio, piccoli paesi carichi di suggestione come Olevano Romano.  

 


 

“Nella Ruhr sono riusciti a venire a capo di un inquinamento devastante scommettendo sulla green economy: è un modello che può essere replicato anche nella valle del Sacco”, propone Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio. “Purché si cambi rotta sul serio e non a parole. Progetti come l’aeroporto a Frosinone, che è stato bocciato perché avrebbe finito per moltiplicare i problemi ambientali di una valle che ha più polveri sottili di Roma, vanno in direzione opposta a quella di uno sviluppo a misura d’ambiente”.

 


Le altre inchieste scelte dai lettori: 1 4 – 2 5

http://www.repubblica.it/ambiente/2011/04/04/news/valle_sacco-14496881/?ref=HREC1-12

Italcementi: sotto sequestro lo stabile di Colleferro per inquinamento
eccessivo

Struttura Italcementi
COLLEFERRO: SEQUESTRO ITALCEMENTI – La questione
dell’inquinamento ambientale causato dall’attività produttiva industriale ha
raggiunto nel nostro Paese alti livelli di risonanza grazie al caso gravissimo
dell’Ilva di Taranto. Ma quanto successo nel capoluogo di provincia pugliese non
è di certo un caso isolato all’interno del panorama nazionale.
A tal proposito, proprio oggi il gip di Velletri, Giuseppe Cairo, dopo una
consulta con il pubblico ministero locale Giuseppe Travaglini, ha deciso di
disporre il sequestro preventivo dello stabile di Colleferro in cui Italcementi
è attiva da anni. Le ragioni del sequestro sono riconducibili al tasso di
inquinamento prodotto dallo stabilimento dell’azienda, tasso che supera i
livelli consentiti da alcune norme dell’Unione Europea. In particolare la
dirigenza dell’Italcementi di Colleferro, in provincia d Roma, avrebbe raggirato
alcune regole che in sede comunitaria sono state definite per ridurre
l’emissione di sostanze dannose alla salute e inquinanti.
Il gip ha assegnato all’azienda dieci giorni di tempo entro i quali adeguare
la struttura alle norme vigenti, secondo quanto riferito alla stampa da alcune
fonti giudiziarie. Nel frattempo il direttore Alfredo Vitale è stato iscritto
all’interno del registro degli indagati. La gestione Italcementi di Colleferro
ha risposto al sequestro facendo sapere che intende apportare le modifiche
necessarie alla messa in regola della struttura entro i dieci giorni concordati,
ma che nel frattempo non interromperà la produzione. L’azienda ha inoltre
dichiarato che alcuni lavori sono iniziati tempo fa e che alcuni obiettivi sono
già stati raggiunti sotto il profilo ambientale.
A condurre l’inchiesta che ha portato al sequestro dello stabile è stata
l’Arpa, un’agenzia regionale che nel Lazio si occupa di questioni
ambientali.

Redazione online

Sequestrato l’Italcementi di Colleferro: violate norme su emissioni
nocive

Secondo i rilievi dell’Arpa i camini utilizzati dal cementificio non
sarebbero a norma. Nello stabilimento lavorano 200 operai

I carabinieri del Noe, su disposizione del gip di
Velletri Giuseppe Cairo
, hanno sequestrato lo stabilimento Italcementi
di Colleferro. La motivazione starebbe nella violazione delle norme che regolano
le emissioni nocive. Il direttore dello stabilimento Alfredo Vitale è
indagato.
EMISSIONI NOCIVE – Il sequestro, che è preventivo, è stato
sollecitato dal pm Giuseppe Travaglini.
Nello stabilimento di
Colleferro lavorano 200 operai. Secondo quanto si è appreso, il gip Giuseppe
Cairo ha concesso ai responsabili dell’impianto un termine di 10 giorni per
mettersi in regola pena il distacco dell’energia elettrica.
Secondo i rilievi
dell’Arpa, l’Agenzia regionale protezione ambiente, i camini utilizzati dal
cementificio non sarebbero a norma ed emetterebbero sostanze nocive. Da quanto
si apprende i tecnici dell’Arpa avrebbero verificato che i camini non a norma
sarebbero più della metà di quelli che servono lo stabilimento vicino a
Roma.

La società Italcementi quindi dichiara che sono stati posti i
sigilli
a “punti di emissione che non riguardano il principale processo
di combustione, ma alcune fasi secondarie dell’attività produttiva. Il
provvedimento – spiega la società – riguarda l’adeguamento geometrico di alcuni
punti di emissione alle normative europee. Adeguamento che è già in corso di
realizzazione da alcune settimane e per gran parte dei punti in questione, già
completato”.
IL GIP – Dal decreto di sequestro preventivo col quale il gip
Giuseppe Cairo
ha messo i sigilli all’impianto si apprende che sono 14
i camini dell’impianto Italcementi di Colleferro risultati, a seguito dei
controlli del Noe e dell’Arpa Lazio, “non conformi alle prescrizioni in quanto
non dotati di prese di campionamento o sbocco verticale”.

DECRETO
DI SEQUESTRO
– Nel decreto inoltre viene sottolineato
che la società
avrebbe fornito alle autorità preposte al controllo ambientale due versioni sul
funzionamento dell’impianto e ciò , si legge nel decreto, “lascia delle
perplessità sulla possibilità di verificare perfettamente il funzionamento
dell’impianto”. “Quanto dichiarato dalla società a seguito di un controllo
congiunto”, svolto il 27 ottobre dal Noe, dall’Arpa e dai tecnici della
Provincia di Roma -scrive infatti il Gip- “non trova riscontro con quanto
contenuto nella relazione tecnica prodotta a suo tempo dalla società per
ottenere l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA)”
“Appare
assolutamente evidente che il protrarsi di tale situazione costituisca
fonte di pericolo generale per gli scarichi in atmosfera”. Per questo motivo il
gip Giuseppe Cario ha firmato il decreto di sequestro dell’intero impianto
Italcementi di Colleferro. Inoltre il gip evidenzia che il sequestro è da
adottare perché “vi è il concreto pericolo che la libera disponibilità da parte
dell’indagato dello stabilimento possa aggravare o protrarre le conseguenze del
reato connesso o consentire la reiterazione dello stesso o di altri reati”. Il
direttore dello stabilimento Alfredo Vitale è indagato per violazione delle
norme Aia (Autorizzazione integrata ambiente). Le indagini sono state condotte
dai carabinieri del Noe, guidati dal capitano del Nucleo operativo Pietro Raiola
Pescarini.

Ilva, per la
commissione Aia stop al pet coke e spegnimento di sei batterie

E’ quanto prevede l’autorizzazione integrata ambientale per
l’impianto di Taranto. Clini: “Il documento dovrà essere chiuso giovedì 11
ottobre”. Intanto tutto il personale dell’area a caldo, ha spiegato Ferrante, è
a disposizione dei custodi tecnici per l’esecuzione dei provvedimenti

Ilva, per la commissione Aia stop al pet coke e spegnimento di sei batterie

<!– –>

L’autorizzazione integrata ambientale per l’Ilva di Taranto
arriverà il 17 ottobre. Tra le prescrizioni già inserite
nell’Aia, ‘stop’ all’utilizzo del pet coke tra
le materie prime di lavorazione e sì all’avvio di procedure di spegnimento per
sei delle dieci batterie delle cokerie. Oggi c’è stata la prima riunione, il
lavoro di elaborazione del testo si dovrà concluderè giovedì 11 ottobre; lunedì
17 ottobre la Conferenza dei servizi è chiamata a dare l’ok definitivo.
Il ministro dell’ambiente Corrado Clini lo ha annunciato
spiegando che “il documento tecnico dovrebbe essere chiuso l’11 ottobre,
giovedì” e che la conferenza dei servizi, a cui partecipano le amministrazioni
locali, sarebbe l’ultimo passaggio. In queste ore, però, sulla commissione
presieduta da Carla Sepe che sta lavorando per rilasciare l’Aia
allo stabilimento siderurgico di Taranto, si
sta abbattendo una vera e propria bufera.
La prima netta bocciatura alla bozza di autorizzazione è giunta
dall’Arpa Puglia in una lettera inviata all’assessorato
regionale all’ambiente. L’agenzia ha definito il documento “un provvedimento
amministrativo non organico e incompleto, il che non appare giustificabile sia
pure in condizioni di urgenza” perché esclude dal processo autorizzativo le
questioni relative al trattamento dei rifiuti.
“Si sottolinea – si legge ancora nel documento a firma del direttore generale
Giorgio Assennato – come la matrice aria e le emissioni in
atmosfera degli impianti abbiano una stretta e inseparabile correlazione con il
ciclo dei rifiuti e quello delle acque”. L’autorizzazione, insomma, non sarebbe
più “integrata” se non trattasse tutte le problematiche connesse al processo
produttivo. Per l’Arpa, inoltre, gli interventi di adeguamento non devono
“basarsi sui cronoprogrammi e le documentazioni presentate da Ilva” che hanno
ricevuto il “no” dei custodi tecnici Barbara Valenzano, Emanuela Laterza
e Claudio Lofrumento e che al momento sono i Gestori
delle aree a caldo dello stabilimento. Infine per l’Arpa il documento manca di
una parte fondamentale come il Piano di dismissione e bonifica degli
impianti
per fine esercizio. Un punto che l’Ilva è riuscita ha saltare
anche nel documento autorizzativo rilasciato nell’agosto 2011. Ora, quindi, è
necessario che l’azienda metta nero su bianco gli impegni nell’eventualità di
abbandonare Taranto con tutti “gli obblighi di fidejussione previsti dalla
legge”.
A tutto questo, nelle ultime ore, si è aggiunta la lettera a firma dei
custodi tecnici che ha definito “illegittima” l’attività condotta dal
coordinatore del Gruppo di Lavoro Carla Sepe “qualora condotta
da componenti non formalmente nominati” e soprattutto un’attività che si basa
“solo” su due sopralluoghi conoscitivi effettuati il 30 agosto e il 20 settembre
“che hanno interessato parte dell’area delle cokerie, marginalmente l’area
parchi e l’altoforno 5. Un numero evidentemente limitato se si considera che
l’Ilva è lo stabilimento più grande d’Europa e che l’obiettivo
del gruppo di lavoro è quello di verificare la conformità di adozione delle
Bat (acronimo inglese di migliori tecnoogie disponibili,
ndr) ed eventuali criticità connesse al processo produttivo”.
Due missive che avrebbero scatenato l’ira degli enti locali che, secondo
indiscrezioni, avrebbero anche minacciato di abbandonare il tavolo. Un evento,
che se dovesse verificarsi concretamente, potrebbe mettere seriamente a rischio
l’autorizzazione integrata ambientale. Intanto a Palazzo di giustizia i legali
dell’Ilva hanno chiesto l’incidente di esecuzione contro il provvedimento del
giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco che ha
rigettato la richiesta dell’azienda di una minima capacità produttiva per
effettuare il piano di interventi di 400 milioni di euro. Bruno
Ferrante
intanto ha inviato una lettera al procuratore della
Repubblica Franco Sebastio. In risposta al provvedimento che
prevedeva entro cinque giorni la destinazione del personale per avviare lo
spegnimento dei primi impianti, Ferrante ha depositato un documento in cui
spiega che tutto il personale dell’area a caldo è a disposizione dei custodi
tecnici per l’esecuzione dei provvedimenti.

Nuovo piano regionale di coordinamento per latutela della qualità dell’aria ambiente non ancora approvato anche in questocaso l’indice è uguale al vecchio

L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA UN INTERVENTO SULLA BRUTALE AGGRESSIONE AL PROFESSORE







  • ASSESSORE DOTTORE RISO NAPOLEONE DIONISI RICHIESTA CONVOCAZIONE CONSIGLIO
    COMUNALE PER APPROVAZIONE NUOVO REGOLAMENTO GESTIONE IMPIANTI SPORTIVI DEL
    COMUNE

COMMISSIONE ELETTORALE 16 OTTOBRE 2012 NOMINA SCRUTATORI PRESIDENTE UN CONSIGLIERE DELEGATO DAL SINDACO

FUNZIONAMENTO DELLA COMMISSIONE
ELETTORALE  
D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223
12.
(Legge 7 ottobre 1947, n. 1058, art.
12, commi 1° e 2°, e legge 22 gennaio 1966, n. 1, art. 12, commi 1° e 2°). – Il
Consiglio comunale, nella prima seduta, successiva alla elezione del sindaco e
della Giunta municipale, elegge, nel proprio seno, la Commissione elettorale
comunale. La Commissione rimane in carica fino allo insediamento di quella
eletta dal nuovo Consiglio.
La
Commissione è composta dal sindaco e da quattro componenti effettivi e quattro
supplenti nei comuni al cui consiglio sono assegnati fino a 50 consiglieri, da
otto componenti effettivi ed otto supplenti negli altri comuni.
14.
(Legge 7 ottobre 1947, n. 1058, art.
12, commi 9°, secondo periodo, 10°, 11° e 12°, e legge 22 gennaio 1966, n. 1,
art. 12, commi 7°, 8°, 9° e 10°). – La Commissione elettorale comunale è
presieduta dal sindaco. Qualora il sindaco sia assente, impedito o non in
carica, ne fa le veci l’assessore delegato o l’assessore anziano. Se il sindaco
è sospeso dalle funzioni di ufficiale del Governo, la Commissione è presieduta
dal commissario prefettizio incaricato di esercitare dette funzioni.
Le
funzioni di segretario della Commissione sono esercitate dal segretario
comunale, o da un funzionario da lui delegato.
Per
la validità delle riunioni della Commissione è richiesto l’intervento della
maggioranza dei componenti. In seconda convocazione le riunioni sono valide se
il numero dei presenti non sia inferiore a tre se la Commissione è composta di
sette membri ed a quattro se è composta di nove. Le decisioni sono adottate a
maggioranza di voti; in caso di parità prevale il voto del presidente.
I membri supplenti prendono
parte alle operazioni della Commissione soltanto in mancanza dei componenti
effettivi e in corrispondenza delle votazioni con le quali gli uni e gli altri
sono risultati eletti dal Consiglio comunale.
15.
(Legge 7 ottobre 1947, n. 1058, art.
12, ultimo comma e legge 22 gennaio 1966, n. 1, art. 12, commi 11°, 12°, 13° e
14°). – I membri della Commissione elettorale comunale che senza giustificato
motivo non prendono parte a tre sedute consecutive sono dichiarati decaduti. La
decadenza è pronunciata dal Consiglio comunale nella prima seduta successiva
alla terza assenza e comunque non prima che sia decorso il termine di dieci
giorni dalla notificazione giudiziale all’interessato della proposta di
decadenza. Qualsiasi cittadino del Comune può promuovere la dichiarazione di
decadenza.
Quando,
per qualunque causa, i membri effettivi e supplenti della Commissione si siano
ridotti in numero inferiore a quello richiesto per la validità delle riunioni,
la Commissione decade ed il Consiglio comunale deve procedere alla sua
rinnovazione con procedura d’urgenza in caso di necessità, e in ogni caso entro
un mese dal verificarsi dell’ultima vacanza.
Finché
la Commissione non sarà ricostituita, in caso di necessità le relative funzioni
saranno svolte da un commissario prefettizio.
Nei Comuni retti da
commissario, i componenti della Commissione elettorale comunale restano in
carica sotto la presidenza del commissario stesso; nel caso in cui non si
raggiunga il minimo legale nella riunione di seconda convocazione provvede il
commissario.

Navigazione articolo